di

Fabio Chiocchia

3. Radici

 

New Orleans, Hermantrauth Pub, un mese prima.

I tavoli del sinistro bar di periferia erano delle figure evanescenti in mezzo alla nebbia di fumo di sigaro che riempiva l'aria del locale. L'uomo strinse gli occhi cercando di farsi largo in mezzo a quella folla di avventori che scaricava nei polmoni e nel fegato quanta più morte possibile, rollata con del tabacco o versata dentro un bicchiere, giocandosi un giorno di vita a boccata più di quanto non facessero già con lo stipendio al tavolo da poker. Si chiese perchè lui e la persona che doveva incontrare si fossero dovuti dare appuntamento proprio in una bettola simile. Odiava quei sudici quadri di decadenza mortale, quasi quanto schifava il solo fatto di discendere sul piano materiale. Probabilmente era proprio per questo che quell'infido bastardo aveva scelto il peggior buco fumoso che New Orleans poteva offrire. Per questo e per il solo gusto di fargli metter piede sul suolo americano, e costringerlo a provare la sensazione che più di tutte odiava, quella della debolezza. Quando le luci arcobaleno di un juke box si accesero improvvisamente, e la voce inconfondibile di Elvis  Presley cominciò a cantare Rock Around The Clock, l'uomo capì che c'era anche un terzo motivo. Il maledetto insetto aveva sempre avuto un debole per quei cosi, e con l'avvento dell'era moderna se ne trovavano sempre di meno dentro i locali. Come aveva immaginato, accanto al juke box, vestito con un completo blu gessato e una bombetta sulla testa, stava un uomo di colore, allampanato e con un sorriso, in apparenza caloroso, stampato sul volto. Occhiali tondi e fini e un paio di eleganti guanti viola portati alle mani, completavano l'opera. In quel momento stava tamburellando con le dita sul juke box mentre muoveva la testa seguendo il ritmo incalzante della musica. Un assassino fatto e finito che si nascondeva dietro  un’aria di falsa simpatia, ingannatore come lo sgorbio a otto zampe che era in realtà.

<<Quest'uomo, Presley, è incredibile>> disse senza preavviso l'uomo di blu vestito, quando il suo interlocutore credeva che nemmeno si fosse ancora accorto di lui.

<<Se fosse stato uno di noi, oggi avrebbe più potere di quanto non ne possediate ora tu e la tua combriccola di ammuffiti falliti. In effetti perfino una Paris Hilton avrebbe più potere di te in questo preciso istante>>

Ridacchiò, divertito dalla evidente espressione rabbiosa che si era dipinta sul viso dell'altro, anche se dubitava avesse capito appieno la sua battuta. Lui e la sua combriccola non frequentavano di certo la scena jet  set americano, gli piaceva però pensare che il senso della frecciata fosse arrivato lo stesso a destinazione. L'uomo infatti serrò la mascella, quindi indicò uno dei tavoli posti a poca distanza dal juke box.

<<...voi wakandani venite subito al sodo eh? E' per questo che vi trovo così noiosi! Non apprezzate un pò di sana ironia! Ma facciamo pure a modo tuo...>>

Si lasciò dunque cadere su una sedia mentre il suo seccato interlocutore si sedette su quella di fronte. L'uomo di blu vestito si accese un sigaro con un Dunhill d'oro che ripose poi nella tasca e cominciò a schioccare le dita al ritmo delle ultime note della canzone mentre attendeva che l'altro cominciasse a parlare. Non ci mise tanto, proprio come si aspettava.

<<....è arrivato infine il momento. La Pantera ha fatto il suo tempo ed è ora che l'ordine delle cose cambi radicalmente...>>

<<Beh mi chiedevo quando vi sareste decisi a sollevare la testa dal fango e a farvi entrare nei vostri poveri cervelli il fatto evidente che l'unica persona a cui poter chiedere aiuto sono io!>>

<<Se le cose fossero andate diversamente, credimi, non ci saremmo mai rivolti a un sudicio insetto come te!>>

L'interlocutore dell'uomo in blu era paonazzo per la rabbia che riusciva a controllare a stento. Strinse un lembo del tavolo e questo si piegò sotto le sue dita come se fosse fatto di burro, la cosa però non parve affatto impressionare l'altro, che semplicemente tirò un altra un’altra boccata al suo sigaro e poggiando anche le scarpe sul tavolino si dondolò sulla sedia.

<<La potenza e l'impenetrabilità del Wakanda, di cui andavate così fieri è stata paradossalmente la vostra rovina. Stavate così bene nel vostro paese della cuccagna che non vi siete espansi nel mondo e il vostro culto è rimasto dentro i confini wakandani. Non come me, che tramite la tratta degli schiavi che afflisse i miei credenti, trovai un inaspettato modo di incrementare il mio potere, stabilendomi anche sul suolo americano, nei Caraibi, in Suriname…nelle Antille olandesi... Da qualche parte credono persino che io sia una donna e mi chiamano Zia. E' così che sono andate le cose...ed è il motivo per cui a differenza mia siete utili come una scarpa vecchia. Siete davvero fortunati che io abbia un conto in sospeso con la Pantera. Un conto in sospeso antico quasi quanto questa terra ed è giunto il momento di saldarlo…>>

Soffiò dunque uno sbuffo di fumo verso il soffitto, rimanendo a fissarlo come assorto e dando ogni tanto delle piccole spinte con il piede alla sedia. Dunque improvvisamente tornò a fissare l'altro e il sorriso canzonatorio che finora aveva caratterizzato il suo viso sembrò aver lasciato il posto a un’espressione feroce, da predatore.

<<......E' questo il motivo per cui vi aiuterò a trascinarlo nella polvere...a lui....e a tutti i membri del suo sudicio culto....>>

Wakanda, Palazzo Reale, Ora.

Monica Lynne camminava per i corridoi del palazzo, mascherando la sua incessante inquietudine con il silenzio. Dietro ogni sguardo che incrociava le sembrava di legger diffidenza, spesso persino odio, e ovunque andasse non poteva che sentirsi fuori posto, vivendo ogni momento con assoluto disagio. La lontananza di T'Challa poi non faceva che accentuare questa sua condizione, dato che quando era assieme al suo amato ogni problema sembrava scomparire e anche lei non riusciva a non venir contagiata dalla sua risolutezza, dalla sua sicurezza di sè. Quando lui era con lei niente sembrava minacciarla, neanche i pregiudizi del popolo wakandano. Ora però lui era dovuto partire, assieme a suo zio Sy'an e non sapeva con certezza quando sarebbe tornato, lasciandola ancora una volta con le sue paure e i suoi disagi. Mentre avanzava Monica credeva di sentirsi addosso mille sguardi che la trafiggevano come delle lame, che continuavano implacabili a ricordarle quanto lì fosse fuori posto. Improvvisamente, mentre camminava da sotto una delle arcate si fece avanti la figura di Ramonda, la Regina Madre. Ci mise poco a capire che la donna stava venendo nella sua direzione e si bloccò di colpo attendendo che lei le si parasse davanti.

<<Monica....ti stavo cercando. Ho riflettuto e credo che io e te dovremo parlare un pò, da donna a donna..>>

Monica si affrettò a rispondere, quasi paurosa di contrariare Ramonda in qualche maniera, se non lo avesse fatto.

<<Si!Si!.......come vuole lei Regina Madre...>>

Ramonda squadrò stranita Monica quindi sul suo volto si allargò un sorriso dolce e comprensivo e la donna le poggiò una mano sulla spalla.

<<Non essere così tesa. E non chiamarmi mai più Regina Madre....Per te sono solo Ramonda ok?...Seguimi..>>

Detto ciò si incamminò lungo il corridoio dal quale era venuta facendo strada a Monica finchè le due non arrivarono a una stanza, la camera da letto della Regina Madre. Ramonda fece cenno alla ragazza di sedersi sul letto e Monica obbedì sedendosi sulle lenzuola di finissima seta e passandovi sopra una mano, apprezzandone la consistenza delicata. Ancora non era riuscita ad abituarsi del tutto alla ricchezza e allo sfarzo che adornavano quel palazzo, lei che era abituata a una vita ordinaria per quanto potesse esserlo quella di una cantante di New York. Ramonda si sedette davanti a lei e rimase a guardarla dritta negli occhi per qualche secondo, prima di cominciare a parlare.

<<Ricordo ancora il momento in cui mi innamorai di T'Chaka. Me lo ricordo come se fosse ieri, e allo stesso modo ricordo quanto il nostro rapporto i primi tempi fu difficile. Vedi io non sono una wakandana...esattamente come non lo sei tu… e fui accolta dal popolo con la stessa esatta diffidenza che ora ti stanno riservando. Il Wakanda è un grande paese.. Qui ogni uomo è libero, c'è benessere, c'è stabilità, c'è orgoglio e fierezza...ma c'è anche molta diffidenza verso gli stranieri soprattutto se americani. Una diffidenza in parte giustificata, in parte no, ma molto forte in ogni caso.>>

Monica ascoltava attentamente le parole di Ramonda e all'ultima frase pronunciata dalla Regina Madre chinò il capo. Ramonda però le pose l'indice sotto il mento portandola a risollevarlo con gentilezza.

<<Ciò non vuol dire che essa debba durare in eterno. Come hanno imparato a rispettare me lo faranno anche con te. So che in te c'è molto più di quanto dai a vedere. Avverto una grande forza interiore, coraggio e determinazione....solo mascherate da una eccessiva dose di insicurezza>>

Monica si sentiva incredibilmente rasserenata dal tono rassicurante che Ramonda stava usando con lei e accennò un sorriso mentre sentiva nuovamente svanire le sue insicurezze. Nonostante sentisse la mancanza di T'Challa, capiva che Ramonda rappresentava per lei un altro scoglio rassicurante nel mare burrascoso delle sue inquietudini. La Regina Madre sembrò avvertirlo e le poggiò una mano sopra la sua.

<< Sappi che sarò sempre pronta a darti tutto il sostegno necessario. E soprattutto abbi fiducia in T'Challa. E' un grande Re e più di tutto  un grande uomo, come lo era suo padre prima di lui, e il suo popolo lo ama esattamente come amava T'Chaka. E presto capiranno che avere accanto a sè una donna come te, una donna che lo rende davvero felice, è la cosa migliore che possa essergli capitata>>

Il sorriso sulle labbra di Monica si allargò e la ragazza, che prima era rimasta in religioso silenzio ad ascoltare le parole di Ramonda non potè far a meno di parlare.

<< Grazie....grazie mille, Regina Madre, io....>>

<<Proprio non riesci a toglierti dalla testa questo Regina Madre! E' Ramonda!>>

<<Grazie....Signora Ramonda...>>

<<Oh bhè...un passo alla volta....>>

 

Il salone principale del palazzo era stato sgombrato del grosso tavolo che solitamente veniva utilizzato per i pranzi sfarzosi che la Famiglia Reale organizzava, invitando in molti casi anche il popolo a prenderne parte. Un’altra attività che si svolgeva all'interno del salone era però l'istruzione dei giovani alle tipiche usanze e alle tradizioni wakandane. Sopratutto il momento più atteso era quando il vecchio N'Gassi narrava i miti e le leggende di Wakanda, appuntamento che soprattutto i bambini non perdevano mai, affascinati com'erano dalle storie dell'anziano Primo Ministro. Solitamente anche i membri del Clan della Pantera partecipavano e quel giorno non avevano fatto eccezione, infatti assieme alla solita nutrita schiera di bambini anche Hunter, sempre taciturno e scostante, Khanata e Joshua Itobo sedevano in attesa che N'Gassi cominciasse il suo racconto. Shuri entrò poco dopo e silenziosa si sedette a una certa distanza dagli altri membri della famiglia. Le era stato caldamente consigliato di partecipare e la ragazza non aveva avuto nulla da obbiettare, anche se in qualche modo quei volti per lei quasi del tutto sconosciuti le mettevano un certo disagio. Guardò sua madre, Ramonda, entrare accompagnata dalla donna che presto suo fratello T'Challa avrebbe presto sposato, Monica Lynne. La ragazza si muoveva in maniera impacciata tra i ragazzini, e improvvisamente Shuri si sentì quasi affine a lei. Dopotutto anche lei si sentiva meno wakandana di quanto si potesse credere, non perchè sua madre Ramonda non lo fosse ma perchè aveva passato la maggior parte della sua vita all'estero e ora tutto le sembrava così nuovo ed estraneo. Ramonda si sedette accanto a lei facendo accomodare Monica vicino a sè quindi dopo averle fatto un cenno si rivolse a Shuri.

<<Dovresti sederti vicino alla tua famiglia. Dopotutto non li vedi da quando eri una bambina piccola, Shuri>>

<<Già probabilmente hai ragione>> rispose Shuri con sufficienza, quasi a voler schivare il discorso. Certo Shuri era stata felice di tornare a casa ma  tralasciando sua madre si era accorta nel giro di qualche giorno che i volti dei suoi familiari le apparivano davvero come quelli di estranei. Troppo era stato il tempo che aveva trascorso lontano da casa e da quando era atterrata oltre alle parole scambiate con Khanata durante il volo e le chiacchierate con sua madre non aveva avuto modo di intrattenersi con nessun'altro. Soprattutto non aveva potuto parlar molto con suo fratello T'Challa e ora lui era anche dovuto partire assieme allo zio S'Yan e non sapeva quando sarebbe tornato. Ramonda stava per replicare alla sua risposta ma in quel momento N'Gassi entrò nel salone battendo a terra il suo bastone, chiedendo il silenzio. L'anziano uomo si sedette dunque a terra e poggiando accanto a sè il suo bastone squadrò per pochi intensi secondi tutte le persone che erano accorse ad ascoltarlo prima di cominciare a parlare.

<<Molte volte ho avuto modo di narrarvi come il Cielo e la Terra decisero di porre i primi uomini, diretti discendenti di Coloro che Erano Prima sulle fertili e ridenti terre del Wakanda. Ciò è alla base del superiore intelletto delle genti del nostro amato paese, tale lignaggio ha fatto sì che la tecnologia si sviluppasse tra i nostri confini ancor prima che in ogni altro paese del nostro pianeta. A queste creature fu donato questo luogo di prosperità che oggi noi chiamiamo Wakanda e a loro salvaguardia furono posti gli Dei. E così venne il nostro amato Dio Pantera ma non fu il solo. Furono creati i due leoni, i due fratelli dalle opposte indoli, buono l'uno quanto malvagio e subdolo l'altro, e con loro venne il sudicio e repellente Dio Iena, che più di ogni cosa ama la morte in tutte le sue forme. Il Coccodrillo fu posto a salvaguardia dei corsi d'acqua mentre il Grande Gorilla Bianco dei monti e delle foreste. Erano tempi in cui gli Dei camminavano sulla terra stessa che li aveva generati e i loro fedeli potevano aver con loro un contatto diretto. Non passò molto tempo che ogni Dio cominciasse a crearsi una propria schiera di seguaci>>

Nella sala c'erano diverse persone che avevano già sentito molte volte quella storia, ma sentirla raccontare da N'Gassi era sempre un esperienza che pochi si sarebbero persi, tanta era la partecipazione con cui la narrava. Shuri dal canto suo non l'aveva mai davvero sentita raccontare, né che fosse per bocca di Ramonda né di nessun'altro. Eppure ora era rapita da quelle parole e dall'enfasi del vecchio Primo Ministro, che scandiva ogni tanto le sue parole con qualche piccolo colpo di bastone sul pavimento.

<<La superbia però non è cosa esclusivamente umana ma a volte coglie anche gli esseri divini, e avvenne che il malvagio Leone cominciasse a coltivare assieme all'aberrante Iena il desiderio di aver tutto per se stessi. Assieme, con l'inganno intrappolarono il più mite fratello del Leone recludendolo nelle profondità della terra dove si dice esso giaccia ancora. Fatto ciò i due dichiararono guerra agli altri Dei e ai loro clan seminando sangue e distruzione sulla stessa Terra che loro era stata consegnata perchè prosperasse. Su tutti si erse il nostro Dio Pantera, che primo in potenza e in furia affrontò fiero le macchinazioni del Leone e della Iena e le mire di potere del Coccodrillo e del Gorilla, non potendo però esimersi nell'incorrer lui stesso nelle ire del Cielo e della Terra che tutti loro avevano creato. Su di loro fu posto un terribile giogo, essi infatti sarebbero stati per sempre legati alla Terra che essi tanto bramavano e soprattutto ai loro stessi seguaci. Più il loro culto avesse avuto presa sul Wakanda tanto più potere essi avrebbero avuto, fuori dai confini del loro paese però essi avrebbero trovato solo debolezza a meno che il loro culto non si espandesse>>

Uno dei bambini alzò la mano, e per qualche secondo N'Gassi lo guardò torvo. Alla fine però il suo viso si distese in una espressione più dolce, che solo i bambini sapevano fargli assumere.

<<T'sami figlio di T'somo, finalmente hai imparato ad alzare la mano per chieder di parlare. Bene, sentiamo quale quesito ti affligge, giovane!>>

Il bambino si schiarì la voce dopo aver annuito in risposta alla constatazione di N'Gassi

<<Ma allora il più forte di tutti è il nostro Dio Pantera non è vero? Cioè....qui abbiamo solo persone che seguono il Dio Pantera....>>

N'Gassi rimase per qualche secondo in silenzio prima di alzarsi in piedi e poggiare una mano sulla testa del bambino.

<<E' così, T'sami figlio di T'somo...Egli è ora l'entità più potente che veglia sul Wakanda. Perchè dura fu la guerra ma il Dio Pantera e con lui i fieri esponenti del suo Clan furono capaci di ergersi vincitori sugli sconfitti quando il conflitto ebbe termine. Ma non credere che gli altri Dei non siano vigili...che i loro seguaci non esistano più. Essi vivono, rintanati nelle nostre foreste e nelle nostre grotte o nelle città abbandonate nel cuore della giungla. Guardati soprattutto dai seguaci della lurida Iena e da quelli del deviato Leone. Avere a che fare con loro non porta mai nulla di buono...>>

T'Sami sembrò alquanto turbato dalle parole del vecchio N'Gassi, il quale era convinto che la verità non andasse mai nascosta ai giovani e non era solito indorar mai la pillola quando raccontava loro cose che altri non si sarebbero mai sognati di narrargli. In quel momento però anche lui sembrò capire di starsi spingendo troppo oltre ed evitò di parlar al ragazzino e a tutti gli altri presenti delle orribili pratiche messe in atto dai seguaci di quei due temibili dei.

<<...Ciononostante il dominio del Dio Pantera rimane solido e forte e nessuno di quei sordidi cultisti verrà mai a por la sua indegna mano su di te, T'Sami o su qualunque alto membro del nostro regno. Non finchè il nostro Re e le Pantere Nere vigileranno su di noi!>>

Fatta questa solenne chiusura, N'Gassi chinò il capo leggermente quindi dopo aver fatto questo cenno di saluto ai presenti si allontanò camminando con l'aiuto del suo bastone e uscendo dalla sala. Shuri seguì il suo incedere, mentre nella testa ripercorreva l'eccitante storia che aveva appena udito. Nei suoi occhi brillava la ardente fiamma della curiosità, la stessa che brucia dentro chi scopre qualcosa per la prima volta e vorrebbe approfondirla sempre di più. La voglia di riprendere contatto con le proprie origini...

Da qualche parte al largo dell'Oceano Atlantico.

L'enorme velivolo recante l'effige della Pantera si fermò a pochi metri dalla superficie marina mentre al suo interno T'Challa controllava gli strumenti di bordo e digitando alcuni tasti sul computer avviava una scansione del fondo marino sottostante. Per l'immenso dolore di S'Yan poco dopo sullo schermo comparvero le immagini della carcassa di un aereo, quello dove, a quanto sembrava dalle ricerche compiute da T'Challa stesso, si trovava suo figlio T'Shan. Ciò che avevano scoperto era che il ragazzo era salito sul suo aereo privato assieme a un altro uomo e che aveva richiesto espressamente di non far parola con nessuno della loro partenza. Non certo un ostacolo per il Re Wakandano comunque che ci aveva messo nemmeno un’ora a stabilire non solo da dove erano partiti ma anche la rotta che l'aereo aveva compiuto. Quello sembrava essere il luogo in cui alfine il velivolo si era schiantato in acqua, e ora T'Challa era intenzionato a far luce su tutta la faccenda e accertarsi se ci fossero speranze di rivedere suo cugino in vita. Dopotutto aveva personalmente progettato gli aerei privati con cui ambasciatori e funzionari wakandani si spostavano, non fidandosi affatto di lasciarli prendere quelli che l'Onu metteva a disposizione, e li aveva dotati di una comoda camera stagna capace di resistere ai forti impatti grazie al suo esser fatta di solido vibranio e in essa si trovavano di solito i generi fondamentali per resistere diversi giorni fino all'arrivo dei soccorsi. Le speranze che T'Shan si fosse rifugiato lì dentro erano alte, dopotutto era stato informato dell'esistenza della camera di salvataggio. T'Challa si alzò dunque dalla postazione e lanciò un'occhiata a Omoro, che annuì gravemente nella sua direzione. In silenzio, i due indossarono due mute da sub lanciando poi entrambi uno sguardo a S'Yan. Ora lo zio di T'Challa sembrava di colpo essere invecchiato tutto d'un tratto. Si era abbandonato sul sedile fissando lo schermo e pronunciando poche parole sussurrate e impercettibili, come se pregasse gli Dei per la salvezza di suo figlio. Decisero di lasciarlo lì, sperando di aver buone nuove da portargli una volta che fossero riemersi. T'Challa premette un pulsante e il portello si aprì permettendo ai due di uscire all'aria aperta e tuffarsi velocemente nelle acque dell'Oceano Atlantico. Come due frecce i due fendettero l'acqua scendendo in profondità grazie alle loro doti di nuotatori. Grazie all'avanzata tecnologia della tuta subacquea i due avevano una visione completa dell'ambiente circostante senza bisogno di illuminazione alcuna. Poco dopo la figura dell'aeroplano si stagliò dinanzi a loro, e i due affrettarono l'andatura dando dei poderosi colpi di pinna e dirigendosi verso il velivolo. Esso si era nonostante l'impatto con la superficie dell'oceano, adagiato stancamente sul fondo, probabilmente a causa della profondità a cui si trovava, che aveva permesso alla massa d'acqua di attutire la caduta dell'aereo. Finalmente giunsero al relitto e T'Challa senza perdere tempo cominciò a ispezionare gli oblò, cercando di capire se suo cugino fosse al suo interno. L'oblò centrale purtroppo gli riservò la sorpresa che non avrebbe mai voluto ricevere...T'Shan era lì e i suoi occhi spenti sembravano fissarlo.. Il Re wakandano rimase a bocca aperta. Improvvisamente si bloccò rimanendo immobile per poi sferrare un pugno contro la superficie del velivolo. Tutto sembrava così irreale.. Certo non aveva mai provato troppa simpatia per il cugino ma ora vederlo lì, morto, lo lasciò momentaneamente spiazzato. Soprattutto a consapevolezza di come S'Yan avrebbe reagito alla notizia della morte di suo figlio lo colpì come un maglio allo stomaco. Si staccò dall'oblò e si diresse verso l'enorme portello dell'aereo ignorando quasi Omoro accanto a lui. Avrebbe riportato il corpo di suo cugino da suo padre, e fatto ciò avrebbe scoperto chi era la causa di tutto questo. Della morte di T'Shan dell'attacco delle iene in piena New York, del pericolo imminente che Maisha gli aveva predetto e che, ormai lo credeva, era collegato a quanto stava accadendo. E allora niente e nessuno lo avrebbe salvato dalla furia della Pantera Nera.

Nuovo capitolo di Pantera Nera (sempre in mostruoso ritardo e me ne scuso ancora) che finalmente presenta il pantheon wakandano. Come molti sapranno ero intenzionato inizialmente ad usare gli dei egizi ma alla fine si è preferito consigliarmi di crearne uno mio e la cosa mi ha dato anzi molto più margine di creatività. In realtà molti di questi dei esistono comunque anche nella continuity Marvel, ad esempio il Grande Gorilla Bianco di cui l'Uomo Scimmia M’baku o il Dio Leone che è stato in due occasioni avversario dei Vendicatori e a cui ho creato un "fratello buono" (ebbene si cito spudoratamente il Re Leone), che però vedremo molto più avanti nella storia. L'ispirazione più grande mi è giunta da una delle opere migliori di Neil Gaiman, American Gods, sopratutto per la caratterizzazione del misterioso personaggio che appare all'inizio della storia (magari chi ha letto il libro ha intuito anche chi è) e che per l'aspetto fisico è ispirato a Gus Fringe di Breaking Bad. Da questo capitolo, dove T'Challa compare relativamente poco, dato che mi son voluto concentrare un minimo anche sui comprimari, comincia così l'influsso "divino" che avrà un ruolo fondamentale in questo ciclo di storie e che ci porterà a conoscere questi Dei da molto, molto vicino. Con la speranza di riuscire a esser più puntuale nella pubblicazione non posso che darvi appuntamento al prossimo capitolo di Pantera Nera!